PERCHE' DI RAZZA
Io e Gabry
PERCHE’ DI RAZZA
La natura c’insegna che esistono solo “animali di razza” e, pertanto, non è giusto voler attribuire a questa espressione un recondito significato di “animale eletto”. E’ l’uomo, semmai, che ama gli incroci di cui sono vittime principalmente gli animali domestici.
Le attuali razze canine non sono nate dalle pressioni selettive della natura ma dall’opera dell’uomo nell’intento di migliorare le molteplici forme e doti di questa specie, già forgiate da antichi impieghi.
La definizione “cane di razza” non è esatta. La giusta definizione del cane sebbene dotato di pedigree è “meticcio selezionato”.
Il concetto di razza, scrive lo Zingarelli, va riferito all’insieme degli individui di una specie animale, che si differenziano per uno o più caratteri costanti e trasmissibili ai discendenti da altri gruppi della stessa specie, mentre il Barbieri, nelle sue lezioni di cinognostica, lo perfeziona identificandolo in una serie di caratteristiche morfo-funzionali ed attitudinali atte a soddisfare le esigenze di un impiego, regolate dai dettami dello standard stilato per ogni razza.
Nel gergo comune “cane di razza” è sinonimo di un cane elegante, legato ad una specifica immagine, dotato di un certificato di origine, che vive in un salotto, viziato ed inefficiente. Un’impressione falsata dalla selezione di alcune razze che esalta unicamente pregi morfologici ignorando doti ed attitudini.
Al contrario, il “bastardino”, scampato agli incidenti stradali, cresciuto tra i disagi e le asprezze della vita, appare, agli occhi di molti, come un animale simpatico ed astuto, bisognoso di affetto. La nascita dei cani meticci è quasi sempre frutto di scarse attenzioni ed il loro apprezzamento tutela, inconsciamente, comportamenti privi di qualunque senso cinofilo. La credenza della mitica salute del bastardino è spesso motivata dalla mancanza di un allevatore cui attribuire la responsabilità delle sue carenze fisiche e sanitarie, un indulgente silenzio favorito dal gratuito possesso del soggetto.
In occasione delle più popolari trasmissioni televisive, si sente talvolta affermare “meglio bastardino che di razza”, coccolando cuccioletti d’ignota provenienza, abbandonati per futili od ignobili motivi.
Frequentemente trovati nei greti dei torrenti o nei cassonetti dei rifiuti, viene spontaneo supporre che siano ambienti prolifici ma costeggiati da proprietari indegni. Non è certo criticabile che a questi cani venga elargita una partecipazione affettiva, ma ciò che infastidisce è intuire che, dietro a tanto sviscerato amore, potrebbe nascondersi il desiderio di una momentanea tenerezza piuttosto che la convinzione di un rapporto duraturo e sincero. Occasioni in cui si ascoltano bambini, essendo i più fragili psicologicamente, ribadire la loro simpatia per il bastardino. Sarebbe importante, al contrario, che lasciarlo esprimere una spontanea esternazione delle loro preferenze verso il cane proponendo, nella rosa delle scelte, anche i cani di razza abituandoli ad esternare, in maniera disinibita, le proprie scelte.
Spesso questi meticci non avendo una precisa identità morfologica sulla quale far cadere la propria scelta, sono cani che, purtroppo, dopo aver esaurito quel ruolo di improvvisa soddisfazione affettiva e perdendo nell’accrescimento quelle tracce neotemiche che promuovono un bisogno di protezione, vengono spesso abbandonati per le strade durante i periodi ferragostani divenendo pericolosi branchi aggressivi o rimpinzando squallidi ricoveri.
Ancor più deprecabili sono gli scaltri che vanno raccattando questi cani ovunque per rivenderli, sfruttando quel pietismo, oggi molto in voga, che considera il cane di razza appartenente ad una categoria di proprietari ambiziosi.
Il cane ha consolidato con l’uomo, in tempi remoti, un rapporto di mutuo soccorso. Un’amicizia che nacque quando il cane, in cambio di un pasto, offrì i suoi innati pregi di fiuto, udito, resistenza, predatorietà, coraggio, senso del gruppo che, uniti alla maggiore intelligenza dell’uomo, costituirono un binomio che permise l’evoluzione della civiltà. Evitando estenuanti guardie del gregge ed offrendo grande collaborazione nella caccia, consentì all’uomo spazi di tempo per avviare scienza ed arte.
Solo chi ama il cane, e ne conosce l’indole, sa che non sono né le gratificazioni care all’uomo che lo rendono felice, né un’alimentazione che lo costringe a subire un’obesità patologica. Il cane è pienamente soddisfatto solo quando vede le sue abilità, qualunque esse siano, apprezzate dal proprio padrone. Producendosi in un impiego, in un gioco, in una gara, viene appagato perché non intende sentirsi un ozioso mantenuto.
Da una convivenza insoddisfacente, ritmata dalla lunga attesa per una breve corsa serale, ne risentono la sua indole, il suo fisico e la sua gioia di vivere. Pur sempre apprezzabile nelle intenzioni, il prendere possesso di cani privi di un’identità, li riduce, frequentemente, al ruolo di autarchici giullari della casa.
Il cane non di razza è un assemblaggio di morfologie e di attitudini che la forza del richiamo sessuale ha voluto ma, senza l’indirizzo di una mirata selezione, il risultato finale è sempre un’incognita per il suo aspetto, per le sue attitudini e per il suo comportamento. Per solito vengono graditi soggetti di taglia piccola, meno ingombranti e più reattivi, ignorando quelli di media e grossa taglia il cui mantenimento è più costoso ed incerto l’impiego. Non di rado vediamo cani non di razza condurre le greggi, cacciare con zelo o cercare tartufi. Ma sono pur sempre animali scelti da generazioni, senza registrare la loro identità genealogica, preferendo i più adatti. Così avviene per la selezione del cane di razza che impone una costruzione ideale unita a preziose attitudini naturali che vengono sviluppate da opportuni imprinting e non indotte, come oggi alcuni credono, da occasionali condizionamenti.
Anche il cane di razza proviene dai meticciamenti dei cani primitivi tanto che possiamo parafrasare l’essenza della loro natura con la considerazione del Tesio fatta sul purosangue inglese, affermando che “è un bastardo altamente selezionato”.
Le classificazioni che hanno portato alla suddivisione delle razze canine sono molteplici e complesse, imposte dalla notevole duttilità genetica di questa specie. Si può affermare che il cane usi il proprio polimorfismo per convivere comunque con le esigenze di ogni uomo, di ogni razza e cultura.
Tutto questo fa comprendere quale vero significato abbia il termine “cane di razza” la cui essenza deriva, fondamentalmente, dalla giustificazione di una funzione e non da una semplice ammirazione morfologica. Solo questa visione ne continuerà la sopravvivenza. Eventualmente potranno essere corretti i criteri selettivi che, concepiti in un lontano passato, potrebbero essere insoddisfacenti ed obsoleti.
Quando si esorta a non incrociare un cane di razza non è per evitare, come credono molti superficiali, che sia contaminato un blasone, ma solo per rifiutare che venga inquinato e distrutto un lungo cammino di ricerca percorso dagli allevatori attraverso la selezione. Il rispettare l’integrità di una razza è un comportamento eletto di chi sente l’obbligo di portare deferenza alla cultura che lo ha generato.
Queste mie parole vogliono essere anche la difesa di tutti quegli allevatori che si dedicano da anni alla selezione delle razze esponendosi a responsabilità zootecniche, morali, economiche e fiscali. Delle loro fatiche e dei conseguenti successi si poi vanto la Cinofilia italiana in campo internazionale.

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