PREDATORIETA' : FINE O MEZZO?
Predatorietà:
fine o mezzo?
Piero Alquati
Sul numero di marzo della
rivista "I nostri cani", ho letto l'articolo di Gabriele Dalle Mulle
dal titolo "Se utilità e difesa diventano un bel gioco": il tema non è
di oggi ed è sempre attuale.
Il Relatore, con entusiasmo,
parla delle prove di lavoro essendone egli stesso estimatore e solo chi ne è
coinvolto ti fa assaporare il fascino di qualunque attività o disciplina.
Lo scritto plaude alle
esecuzioni del cane rese quasi spontanee dalla simbiosi con il proprio
conduttore, criticando le esecuzioni didattiche di un tempo il cui risultato
era una sequela di azioni meccaniche e condizionate, frutto della mentalità
militaresca che le originò. Basti pensare che nelle classi A B e C di un tempo
era attribuito l'abbondante punteggio di 10 punti all'abilità del conduttore
che era visto non tanto come un componente dell'unità cinofila, quanto come
"un domatore".
Molto probabilmente, lo
scrittore dice tanto anche perché, come lapsus freudiano, cerca di creare elogi
ad esercizi che possono incentivare repressioni legislative al suo bel gioco e
per questo lo prospetta non come una gara di cani feroci, gratificata dalla
cultura di un tempo, ma come l'espressione di un gioco civilizzato e sociale.
Gli intenti vanno sempre
apprezzati ed ognuno, vittima di passionalità trascendentali, tira sempre
l'acqua al suo mulino come il cacciatore, nel timore che la caccia venga
soppressa, dice che, in una certa ottica, il suo fucile esercita un gran favore
alla selvaggina. E bene sia.
Ma il problema nasce per
il settore C, la difesa. Per tutelarne l'esistenza giustifica le azioni di
attacco e combattività spiegando che non sono più motivate dall'aggressività ma
dalla predatorietà, i cui impulsi stimolerebbero il cane a mimare queste
esecuzioni per cui i comandi di obbedienza utili per la loro gestione e
cessazione sono facilmente ottenibili, trattandosi, in pratica, di un gioco.
Trascura però di precisare che l'esecuzione di queste fasi, per ottenere un
alto punteggio, pretende un potente e tenace morso su di una manica ben più
dura e sostanziosa del braccio di un eventuale malcapitato che essa,
ingannevolmente, sostituisce.
Sulla predatorietà Willam
E. Campbell, nel capoverso "Il cane che morde per il riflesso ad
inseguire" tratto da "Psicologia canina", scrive
"Non
pochi cani sembrano possedere fin dalla nascita una marcata tendenza ad
inseguire oggetti che si muovono velocemente, altri l'acquistano col tempo.
Quando si tratta di persone che corrono o che vanno su veicoli, spesso il morso
dell'animale non rappresenta altro che il tentativo di fermare una persona.
Quando questo è l'unico stimolo che provoca il morso, le misure correttive
precisate nel paragrafo "Uccisione di altri animali" possono
corrispondere allo scopo. Il processo di riabilitazione è lento con gli
inseguitori incalliti, ma eccezionalmente rapido con gli animali nuovi a questa
cattiva abitudine"
Sulla predatorietà Bruce
Fogle, nel capoverso "Aggressione predatoria", tratto da "La
mente del cane", scrive
"I
cani sono predatori. Se viene lasciato regredire al comportamento naturale, il
cane domestico diventa un dingo. Indipendentemente da quanto noi uomini abbiamo
modificato le loro basi genetiche, è un fattore che non può essere eliminato.
L'allevamento selezionato e l'addestramento hanno tuttavia ridotto notevolmente
l'aggressione predatoria nei cani, a tal punto che i veterinari vengono
raramente consultati su questo tipo di comportamento. La base dell'aggressione
predatoria è genetica ma deve essere anche imparata dalla madre".
Più avanti aggiunge
"Quando
i cani s'impegnano realmente in un'aggressione predatoria, la rivolgono di
solito verso specie diverse, pecore, gatti, scoiattoli, porcospini, marmotte,
ma può anche essere diretta contro bambini o persone anziane. Sebbene ciò sia
piuttosto raro, questo è tuttavia il tipo più grave di aggressione, perché lo
scopo è uccidere".
Sull'argomento “aggressività”
è giusto anche leggere quanto scriveva il fondatore della razza del cane da pastore
tedesco, Max von Stephanitz, nel capitolo "Il maschio aggressivo" da
"Il cane preso sul serio" di Erberhard Trumler:
"Ultimamente,
a un tratto fondamentale del carattere dei cani domestici e selvatici è stato dato
il nome di "vigliaccheria ". Giudizio insostenibile, perché fortemente
antropomorfizzante. Badare alla propria sicurezza ed incolumità è un istinto
innato in ogni essere vivente e la prudenza ad esse rivolta non può
assolutamente essere scambiata per codardia e tanto meno quando altri fattori
più potenti possono avere il sopravvento: e cioè la fame e l'amore. Se
l'animale evita un pericolo inutile, se fugge l'avversario più forte, vale a
dire l'uomo, e le sue armi a lunga gittata, queste sì sono “ vigliacche",
esso non può essere tacciato di vigliaccheria".
Prendendo spunto sulla
natura della predatorietà, dopo un'attenta indagine, si deve convenire che
questa è, e rimane, un impulso che precede la lotta, la combattività e la
mordacità. Semmai il suo ruolo va inteso come uno stimolo dinamico per recarsi
sulla persona o sull'animale dove avviene lo scontro.
Un tempo, le doti di
difesa dei pastori tedeschi scaturivano fondamentalmente dalla minaccia e, gli
equilibrati, iniziavano il loro comportamento aggressivo e combattivo solo
quando sussisteva la concreta intimidazione. Anche nell'attacco lanciato di un
tempo la predatorietà non era che uno stimolo dinamico per trovarsi, come
abbiamo visto, sul luogo di offesa.
Oggi, selezionando e
addestrando il cane in predatorietà, stimoliamo i suoi istinti di combattività
attraverso l'azione dinamica di strumenti quali stracci e salsicciotti che
invogliano la loro cattura, ostentati come simulacri di prede remote. Lo stesso
figurante, mobile e dinamico, diviene lo specchio evoluto di tale tipo di
addestramento.
Ma, se un tempo il cane
equilibrato non aveva motivo di esternare aggressività verso una persona
inoffensiva, oggi, attraverso questi nuovi criteri, qualunque oggetto in
movimento può divenire un'ambita preda come lo possono essere innocui bambini
che corrono in un giardino. Un forte istinto di predatorietà invoglia persino a
mordere il getto della canna d'acqua del padrone sino a giungere alla sua mano.
Dovendo vivere in un mondo dinamico, comprese automobili e biciclette, la predatorietà
si configura, in un cane ovviamente iper-reattivo, come un rischio peggiore
della combattività promossa dalla difesa o dall'autodifesa.
Le parole di von Stephanitz
sono, invece, una valida difesa della razza che da molti viene screditata perché
apprezzano solo, e sempre, i soggetti coraggiosi che hanno imparato, sin da
piccoli, a non temere quel simulacro che, ben protetto, si agita e minaccia in
un campo e si va a nascondere sempre nel sesto revier. Anche se la dinamica è a
loro nota, devono forzatamente mimare un'inutile ricerca che, quando necessaria
nel bosco, importante sarebbe, intuita la preda, provvedere direttamente alla
sua cattura.


Commenti