LA SVENTURA DELL’ALLEVAMENTO DELLE RAZZE CANINE - Piero Alquati
LA
SVENTURA DELL’ALLEVAMENTO DELLE RAZZE CANINE
… di
questo passo dovrà essere grande l’impegno governativo per ampliare in maniera
consistente il numero delle aule dei Tribunali!
Piero Alquati
Mai una
malattia, ed il conseguente suo tentativo di risanamento, ha avuto nelle razze
canine un iter tanto prolisso e tanto infruttuoso sino a portare sfiducia ad un
progetto dando spazio a convinzioni infondate e a costose cure chirurgiche.
Posso
testimoniare che le prime indagini per certificare l’esenzione da displasia
delle anche nei miei cani da pastore tedesco furono fatte in Germania
all’inizio degli anni sessanta, ma è risaputo che già molte indagini
radiologiche furono eseguite in anni precedenti da Allevatori tedeschi e di
altre importanti Nazioni.
Queste considerazioni
permettono di affermare che la Scienza Veterinaria ha avuto per oltre
cinquant’anni la disponibilità pratica, zootecnica ed economica degli Allevatori
di tutto il mondo per poter produrre informazioni e formulare criteri efficaci
che costituissero un protocollo cui attenersi per contenere o debellare l’anomalia
patologica delle anche nel cane. Tuttavia tutto questo non è avvenuto.
Le indagini
statistiche proposte e aggiornate da una tra le principali Organizzazioni (OFA
- Orthopedic Foundation for Animals) hanno solo potuto constatare che la
displasia delle anche, di norma, presenta valori superiori nelle razze
brachimorfe (40/70%), medi nelle mesomorfe (15/30%) e minimi nelle dolicomorfe
(10/1%), evidenziando che la maggior massa tende ad esaltarne la presenza. Inoltre
va sempre più affermandosi la convinzione che molti fattori esterni siano
concause che esaltano l’insorgenza o l’aggravarsi di questa patologia, tra cui
esagerato movimento e inadeguati regimi alimentari.
Sulla Rivista dell’ENCI “I
nostri cani” già nel mese di marzo 2006, i Medici Veterinari Lettori ufficiali
della Ce.le.ma.sche. Dott. Ferdinando Asnaghi e Dott. Paolo Piccinini,
affermavano
“Gli allevatori interessati conoscono bene
come si determina la displasia dell’anca dove entrano in gioco molti fattori e
riteniamo quindi superfluo, come viene regolarmente fatto invece da molti
veterinari di scuola americana, illustrare la patologia ripartendo sempre
da zero.
In sintesi si considerano:
il fattore genetico che secondo recenti
statistiche influisce dal 20% al massimo 40%
i
fattori ambientali quali nutrizione, esercizio fisico, terreni di crescita etc
etc.
La condizione
di stallo di questa patologia si sta ormai trascinando da anni, e rimane tuttora
tale, incentivando contrasti legali e controversie zootecniche. Un aspetto
parossistico della situazione sorge vedendo maggiormente additate, come
principali affette, quelle razze che hanno intrapreso un percorso sanatorio,
prima tra tutte la razza del cane da pastore tedesco, mentre altre, gravemente
affette che nulla dicono e fanno per il loro risanamento, sono ritenute indenni
dal male!
L’intento di
queste mie parole, tuttavia, non è indagare sugli aspetti genealogici o
genetici del male, quanto sui conseguenti aspetti legali che mettono in crisi
le stesse buone intenzioni di chiunque volesse intraprendere quella che ormai
può essere definita “la sventura dell’allevamento delle razze canine”.
La Scienza Medica sino a oggi ha proposto, come
protocollo risolutore, l’impegno ad usare genitori fenotipicamente esenti da
displasia, possibilmente anche nonni ed avi tutti.
La stessa equivoca definizione di “esente da
displasia” rappresenta una grave e fuorviante informazione in quanto il cane,
al quale viene attribuito tale riconoscimento, lo è solo fenotipicamente, non
geneticamente, tanto che può accadere che un soggetto con displasia può produrre
soggetti esenti, come un soggetto dichiarato esente possa produrre soggetti non
esenti.
Del resto, se così non fosse, il problema sarebbe
già stato risolto 50 anni fa.
Sappiamo che
l’indagine radiografica preventiva di un cucciolo di 2/3 mesi, pur proveniente
da genealogia sana, non è significativa perché le memorie genetiche negative
non hanno ancora inferto i loro effetti ed anche l’ambiente, inteso come
cattiva alimentazione e/o movimento non adeguato, non ha ancora prodotto i
possibili danni.
Il Disciplinare
Ministeriale, che dirime le normative, recita che l’indagine radiografica vada
effettuata sul cane non prima dei 12 mesi di età e i suoi esisti siano sanciti
non dai Medici Veterinari ma dalle Centrali Riconosciute di Lettura. Le lastre
radiografiche da sottoporre alla lettura sono solo quelle provenienti dai Medici
Veterinari ufficialmente riconosciuti dalle Centrali di Lettura.
Le radiografie
effettuate prima di un anno si configurano come un dolo, in quanto tolgono
trasparenza e valore alle indagini selettive sottraendo la possibilità di
individuare la presenza dei cani displasici. Altrettanto non è possibile
pretendere che un Allevatore imponga a tutti i proprietari dei componenti di
una cucciolata di effettuare a 12 mesi di età l’indagine radiografica, la quale
difficoltà crea i medesimi effetti dell’occultamento clandestino della
patologia.
I cinquant’anni di indagini radiografiche imposte
dalla Scienza Medica agli Allevatori non hanno quindi saputo fornire un esatto
protocollo risolutore e gli Allevatori, pur rispettosi degli insegnamenti proposti,
brancolano nel buio, rimangono i soli esposti a tutti i rischi e ad ogni contumelia
che la situazione genera e subiscono tutte le responsabilità zootecniche e
patologiche di un male sulla cui soluzione nessuno può dire una parola
definitiva.
Questa situazione non chiarita continua ad esporre
l’Allevatore, anche il più serio e scrupoloso, a gravi rischi economici e d’immagine,
frutto di contestazioni legali, molte sollevate ad arte per trarre vantaggi
giocando sulle incertezze e sulla labilità delle responsabilità derivate da
questa patologia.
E ancora, sulla Rivista
dell’ENCI “I nostri cani” nel mese di marzo 2006, i Medici Veterinari Lettori
ufficiali della Ce.le.ma.sche. Dott. Ferdinando Asnaghi e Dott. Paolo
Piccinini, affermano
Chiunque ha vissuto un po’ di cinofilia lo
sa chiaramente! E’ facile capire quindi che, a parte il “business” per i
veterinari ortopedici, mascherato spesso da una proposta di migliore qualità
della vita del cane, la diagnosi precoce che preveda questo
tipo di percorso (sinfisiodesi pubica), diventa uno dei più grandi nemici degli
allevatori. Se poi aggiungiamo che la comunità
internazionale non è ancora pienamente d’accordo sulla validità scientifica di
tali metodiche, è facile comprendere quale danno morale e materiale si rischia
di procurare alla cinofilia e all’allevamento del cane di razza.
Ma chi di voi allevatori non ha avuto
delle radiografie a 8 mesi di grado C che si sono o confermate o migliorate
sino al B? Penso sia successo a tutti. Le prove le abbiamo personalmente in
archivio della CeLeMaSche (49.000 radiografie ufficiali eseguite per chi ama i
numeri).
E allora come la mettiamo?
Consideriamo a
questo proposito dati concreti che evidenziano in maniera inequivocabile la
realtà di quanto sopra affermato.
Prendendo come riferimento i dati forniti dalla OFA
(Orthopedic Foundation for Animals) la razza del cane da pastore tedesco è
considerata affetta da questo male per il 20% circa dei suoi componenti. Altre
fonti affermano incidenze superiori, altre lievemente inferiori. Ne consegue
che nascendo, ad esempio, in Italia in questi anni circa 15.000 soggetti all’anno
di questa razza, la potenziale presenza sarà di circa 3.000 soggetti displasici
i quali, senza una precisa normativa, possono generare 3.000 cause legali, in
due anni 6.000.
Se poi consideriamo tutta l’annuale produzione
canina italiana che si attesta attorno ai 140.000 soggetti sui quali grava per
alcune razze una maggior presenza, per altre una minor presenza di cani
displasici, senza voler essere cruenti e adottando ancora il valore di una
presenza media del 20%, in Italia le cause legali conseguenti potrebbero
essere 28.000 in un anno e 56.000 in due anni. Di questo passo dovrà essere grande
l’impegno governativo per ampliare in maniera consistente il numero delle aule
dei Tribunali!
I giudizi espressi dai Tribunali su queste controversie
sono i più disparati e vanno dall’assoluzione dell’Allevatore che, avendo
assolto i doveri dei protocolli sino ad ora suggeriti, ha ceduto un cucciolo
rivelatosi poi displasico, sino ai più fantasiosi pagamenti risanatori.
La più esilarante è la proposta della sostituzione
del cane.
Nel caso di alcune razze, come il Bulldog o il
Carlino (vedi documentazione OFA) sui quali grava la presenza della displasia
dell’anca intorno al 70%/80% dei soggetti, le valide leggi della statistica
affermano che le due combinazioni positive (assenza da displasia) possono
giungere dopo le otto negative (presenza di displasia).
Seguendo la logica del disciplinare che impone la
verifica della presenza della displasia a 12 mesi di età, la conseguente
sostituzione consentirebbe al tenace Acquirente di entrare in possesso di un
soggetto dopo almeno 10 anni, considerando anche l’incremento temporale dovuto
alle controversie e alla disponibilità dell’Allevatore per fornire un cucciolo
riparatore. Ne deriva, pertanto, che un tale acquisto dovrebbe essere
sconsigliato nell’età avanzata sia dell’Allevatore che dell’Acquirente potendo
intervenire il decesso di uno dei due contendenti durante il lungo percorso
delle diatribe!
Quanto esposto porta ad affermare che ormai serve
una seria normativa, omogeneamente riconosciuta, sul problema displasia visto
che la Scienza Medica non riesce a proporre, o imporre, un criterio solutore.
Persistendo questa situazione, molti Allevatori saranno
indotti a desistere dal loro impegno a danno anche delle convenienze economiche
dell’indotto che ne deriva, compresa la diminuita registrazione negli Archivi
dell’ENCI dei cuccioli nati.
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